Sono stanca. Sono profondamente stanca di essere donna.
Donna in età fertile per la precisione.
Certo probabilmente anche se avessi avuto 10 anni avrei comunque trovato un buon motivo per lamentarmi, d'altronde la lagna è parte integrante della vita di una femmina:
noi donne abbiamo sempre qualcosa in mezzo alle ruote del karma. E non si tratta certo di un paio di scarpe fuori posto.
Oggi è uno di
quei giorni lì. Quei giorni in cui tutte le forze del male dell'estetica, dal pelo incarnito al brufolo sul mento, si vengono a concentrare nello stesso corpo femminile: la
sindrome premestruale. Un nome articolato, di quelli per cui vanno pazzi tutti i fanatici dello spelling e della divisione in sillabe: due parole talmente musicali e piacevoli che a confronto le poesie in rima baciata di Gianni Rodari sembrano i titoli del telegiornale.
Questo finchè non ne conosci il significato.
Ognuna di noi vive il periodo premestruale in maniera diversa: c'è quella che manco se ne accorge, dal momento che non-c'ho-tempo-di-farmi-la-piega-figuriamoci-per-ste-stronzate-qua, c'è quella che se ne accorge ma non dà a vederlo (che poi io non sono sicura dei margini di successo di questa filosofia), c'è quella che non se ne accorge e te lo fa notare (per la precisione con tutto ciò che le capiti sotto mano) e c'è infine quella in cui sono gli altri a non notarlo, visto che quella lì ogni giorno c'ha una parola buona per qualcuno.
Se le donne quindi si sentono scoppiare come una macchina del caffè avvitata male e se sentono l'esigenza di risvegliare il camionista che c'è in loro, lanciando improperi a destra e a manca,
gli uomini assistono sconcertati. E non mi sorprenderebbe se alcuni di loro si fossero nel frattempo muniti di giubbotto antiproiettile e iscrizione ad un corso di autodifesa.
C'è quello intelligente che ti gira alla larga.
C'è quello coraggioso che cerca di coccolarti.
C'è quello attaccabrighe che ti risponde a tono.
E poi c'è quello imbecille che ti dice : "stai calma".
Ora,
tesoro, io non so perchè alla tua veneranda età ancora ti ostini ad usare il verbo
calmare, modo imperativo. seconda persona singolare, nei confronti della tua donna. Lascia perdere tutte quelle minchiate del
keep calm e carry on: con noi questa roba del calmarsi non attacca proprio.
Io dico, sei nato maschio e per tua natura pronunci nell'arco della tua vita un terzo delle parole che io sono in grado di pensare, almeno escitene con frasi intelligenti: che so, dimmi "amore come ti sta bene quel vestito!", invece che fare quella faccia da cassa integrazione ogni volta che esco dal camerino, Guardami dritto negli occhi e dimmi "andrà tutto bene", invece di attaccarti al telefono a chiedere consigli a tua madre: no, noi dell'uomo che ci dice stai calma proprio non sappiamo cosa farcene. Se non carta da macero.
Noi donne passiamo metà della nostra vita ad essere filosofiche, romantiche, frivole e fondamentalmente delle gran rompicoglioni: l'altra metà la trascorriamo a piangere. Escludendo le delusioni amorose, il travaglio del parto e le repliche di Grey's Anatomy, per il resto, piangiamo senza un apparente motivo. Così, tanto per vincere la ritenzione idrica. E poi ci sono quei giorni lì, quei giorni in cui avresti bisogno unicamente di un bagno rilassante, una coppa di gelato alla fragola in cui affogare i pensieri e qualcuno che ti dica ti amo.
Non un ti amo qualsiasi, ma un ti-amo-proprio. un
ti amo che come-ti-sopporto-io-nessuno-mai.
Ecco tesoro,
stai calma dillo a tua sorella o alla segretaria che reclama le ferie.
Vieni qui, dammi un bacio sulla fronte e stringimi forte.
Ok, non così forte.
E già che ci sei, levati quei fantasmini bianchi che mi fai venire il male di vivere.